La questione delle origini

La presenza del greco nel Sud Italia esaminata da A. Karanastasis

Il nome di Gehrard Rohlfs è indissolubilmente legato allo studio degli idiomi parlati dagli ellenofoni dell'Italia meridionale. Le pubblicazioni del glottologo tedesco hanno fatto conoscere al mondo la provenienza antica delle due isole linguistiche del Sud Italia, distanti l’una dall’altra seicento chilometri: la Grecìa salentina in Puglia a sud di Lecce, e la Bovesia in Calabria sulle alture dell’Aspromonte a sudest di Reggio Calabria.

Negli anni ottanta del XX sec., un’altra opera monumentale, quella del filologo greco Anastasios Karanastasis, ha ampliato quella del suo illustre predecessore.

Il Rohlfs, da romanista, aveva osservato importanti influenze del greco sui dialetti italiani meridionali. Intraprese negli anni sessanta del XX sec. viaggi e inchieste nel sud della Grecia. Nell’ambito di una di queste collaborò con uno studioso dell’Accademia di Atene, Anastasios Karanastasis, il quale raccoglieva materiale lessicale per includerlo nell’archivio del Centro di Redazione del Dizionario Storico del Neogreco. Quest’ultimo aveva pubblicato diversi lavori sui dialetti delle isole intorno a Kos, come Patmo e Astipalea. Rohlfs, che aveva apprezzato il suo senso di contatto con la gente, la sua competenza e la sua buona conoscenza dell’italiano, propose all’Accademia di Atene di affidare a Karanastasis il compito di studiare gli idiomi greci del Sud Italia. Già nel 1924 era giunto alla convinzione che le isole linguistiche greche ancora esistenti nell’Italia meridionale non sono il risultato di migrazioni medievali o più moderne, ma che l’antica tradizione linguistica della Magna Grecia non è mai stata interrotta, che quelle parlate sono la traccia vivente di un rapporto culturale ininterrotto tra mondo classico e Italia attuale.

Nel 1962 Karanastasis intraprese la sua prima spedizione in Italia. Quando constatò che esisteva un importante materiale linguistico non ancora tesaurizzato e schedato né da Rohlfs né da altri, intuendo che tale materiale potrebbe contribuire decisamente alla soluzione del problema dell’origine, decise di compilare un lessico della lingua degli ellenofoni del Sud Italia. Dedicherà 35 anni della sua vita a identificare le prove di un’origine megaloellenica di questi idiomi. Tra il 1962 e il 1982 andrà d’estate due mesi all’anno nell’Italia meridionale, per un totale di venti spedizioni, le ultime sei effettuate a spese sue.

Nel 1992 venne pubblicato il quinto e ultimo volume dell' Ιστορικόν Λεξικόν των Ελληνικών Ιδιωμάτων της Κάτω Ιταλίας e, nel 1997, qualche mese prima di morire all’età di novantatré anni, Karanastasis poté vedere la pubblicazione della loro Γραμματική, che considerava il coronamento della sua opera.

Alla fine del XX sec. c’erano ancora nel Salento nove paesi dove si parlava il greco salentino, chiamato grico. Oggi (2018) nei paesi di Melpignano e Soleto il grico non si sente più. Negli altri paesi, Calimera, Castrignano de’ Greci, Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano, Sternatia e Zollino si possono sentire ancora degli anziani che lo parlano.

In Calabria, prima della seconda guerra mondiale il greco-calabro era parlato nella vallata dell’Amendolea, a Bova, a Bova Marina, a Chorio di Roccaforte, a Chorio di Roghudi, a Condofuri, a Gallicianò, a Roccaforte del Greco (Vunì) e a Roghudi. La mancanza di strade carrabili costringeva i paesi grecofoni all’isolamento e all’analfabetismo, ed era questo un fattore favorevole alla conservazione della lingua. Le condizioni di vita create dalla guerra, la costruzione di strade, l’istruzione obbligatoria, i mezzi di comunicazione di massa (media), il servizio militare effettuato lontano dai paesi, i matrimoni tra grecofoni e italofoni (fino alla seconda guerra mondiale prevaleva l’endogamia) e altri fattori contribuirono alla rapida assimilazione linguistica dei grecofoni dall’insieme della popolazione italiana.

All’epoca del fascismo, si era sparsa la voce che i grecofoni essendo dei rozzi coltivatori, dei paesani ignoranti, bisognava evitarli e non parlare la loro lingua. Se aggiungiamo a queste dicerie la politica mussoliniana nei confronti dei particolarismi regionali e delle minoranze linguistiche che non erano di suo piacimento, possiamo capire che gli abitanti delle due isole linguistiche grecofone sono stati costretti a non parlare più la loro lingua a casa, in presenza dei figli, e che sono arrivati via via ad abbandonarne l’uso esclusivo.

Già all’epoca delle ricerche di Karanastasis (1962-1982), a Amendolea, Roccaforte del Greco, Bova Marina, Condofuri, Chorio di Roccaforte, pochissime persone anziane parlavano ancora il greco-calabro. A Gallicianò, Roghudi e Chorio Roghudi grandi e piccoli lo parlavano parallelamente all’italiano. Per spiegare la situazione Karanastasis scrive: «Alle contrarietà (…) provocate dall’uomo si sono aggiunte quelle naturali. A Roghudi, ubicato sul crinale di una collina, c’è stata nel 1975 una frana sufficientemente importante da seminare il panico tra gli abitanti, che hanno abbandonato il loro paese per insediarsi sul litorale dove saranno sicuramente assimilati linguisticamente. Nel 1977 le alluvioni hanno distrutto le case di Chorio di Roghudi, dissolvendo i mattoni di terra con cui erano costruite, e la popolazione si è rifugiata a Reggio dove si è insediata definitivamente. Nel paese sono rimaste trenta famiglie che insieme ai pochi abitanti di Gallicianò parlavano ancora la lingua greca».

Oggi (2018) il greco-calabro lo si sente solo a Gallicianò. Negli altri paesi, qualche persona, se “spinta”, pronuncia timidamente l’una o l’altra parola che gli è rimasta in mente « da quando i genitori dicevano qualcosa che noi ragazzi non dovevamo capire ». Nonostante la promulgazione della legge sulle minoranze linguistiche non esiste nessuna iniziativa efficace da parte delle istituzioni per rivitalizzare questi idiomi.

Il problema delle origini

Nell’introduzione del primo volume del Lessico, Karanastasis riprende le diverse teorie in campo fin allora che tentavano di definire l’origine degli idiomi greci dell’Italia meridionale.

All’inizio del ’800 poche persone conoscevano l’esistenza di popolazioni del Sud Italia che avevano per madrelingua il greco. Nel 1820, lo scienziato tedesco Karl Witte visitò gli ellenofoni della Calabria sul massiccio montuoso dell’Aspromonte e pubblicò del materiale lessicale proveniente dalla parlata della gente. Da allora la ricerca scientifica cominciò a occuparsi delle due isole ellenofone di Calabria e di Puglia, e nacque un problema filologico intorno alla loro origine.

Nel 1856 il glottologo tedesco August Friedrich Pott esprimeva l’opinione che non si trattava di sopravvivenza di un dialetto antico ma di un dialetto con caratteristiche neogreche.

Nel 1863, Cesare Lombroso concludeva che alle antiche colonie greche, mescolatesi con le popolazioni romane, si erano aggiunte ulteriormente popolazioni di origine greca.

Per Spiridon Zampelios (1864) e Domenico Comparetti (1866) il greco del Sud Italia proveniva da religiosi bizantini e da laici insediati nel periodo dell’iconomachia. De Blasiis (1866) sosteneva l’inesistenza di una continuità storica tra le colonie della Magna Grecia e le odierne isole ellenofone.

Tali opinioni incitarono il glottologo Giuseppe Morosi a esaminare per la prima volta la questione su base scientifica. Raccolto un importante materiale linguistico dalle due aree, pubblicò due trattati (1870, 1879) in cui esaminava minuziosamente la grammatica ed il lessico degli idiomi. Partendo dalla constatazione che hanno una forma neoellenica, affermava che erano stati trasportati da coloni bizantini provenienti essenzialmente dal Peloponneso con la cui lingua egli vedeva che presentavano somiglianze. Pensò che delle conclusioni storiche si verificavano dai dati linguistici e ne dedusse che i greci del Salento risalivano all’epoca di Basilio I e di Leone il Saggio (IX-X sec.), mentre quelli dell’Aspromonte provenivano da emigrazioni avvenute nei XI e XII sec. « La tesi di Morosi, con l’idea che è fondata su delle conclusioni linguistiche e storiche ottenute scientificamente, è stata considerata come verità scientifica e si impose allora senza essere stata né controllata né verificata nei suoi particolari.» scrive Karanastasis.

Nel 1892 Georgios Hadzidakis espresse per primo delle obiezioni alla teoria di Morosi sostenendo impossibile che la lingua greca fosse scomparsa dal Sud Italia nei tempi antichi, allorché nella lingua odierna degli ellenofoni si conservavano antiche parole ed elementi dorici inesistenti in qualsiasi dialetto neoellenico che non potevano, per conseguenza, essere stati trasferiti dai coloni bizantini. Spiegava che se gli idiomi del Sud Italia presentavano somiglianze con qualche dialetto attuale, ciò era dovuto al fatto che avevano ereditato delle caratteristiche comuni dalla Koinè.

La presa di posizione di Hadzidakis non si diffuse su larga scala e sarebbe stata dimenticata se trent’anni dopo non l’avesse adottata e ampliata il Rohlfs. Il linguista raccolse materiale linguistico, controllò quello pubblicato da Morosi, esaminò le relazioni tra dialetti italiani e idiomi greci della stessa zona, riunì gli elementi storici e linguistici che avrebbero potuto aiutarlo a chiarire il problema dell’origine, e pubblicò nel 1924 un trattato dove concludeva che gli antichi elementi conservati nel lessico e nella grammatica testimoniavano che l’antica tradizione linguistica non si era mai interrotta.

La tesi di Rolhfs documentata nel modo più completo per quanto lo permettevano i dati linguistici dell’epoca provocò lunghe e vivaci discussioni. A sostenere la continuità ininterrotta della tradizione linguistica nel Sud Italia furono, a parte Hadzidakis, anche Stylianòs Kapsomenos, Agapitòs Tsopanakis, e Stamatis Karatzàs. Contrari alla teoria rohlfsiana erano sopratutto alcuni glottologi italiani e il linguista francese Hubert Pernot. Rohlfs estese le sue ricerche nel Peloponneso, nel Dodecanneso, in Creta e a Cipro, e presentò nel 1930 e nel 1950 conclusioni alle quali i sostenitori della teoria morosiana cercarono di opporsi.

A rafforzare le posizioni di Rohlfs sopraggiunsero le pubblicazioni di Stylianòs Kapsomenos e di Agapitòs Tsopanakis, completando varie soluzioni etimologiche e fornendo particolari elementi a favore dello scienziato tedesco.

Il glottologo Oronzo Parlangeli si oppose alla teoria del Rohlfs e provò nel 1953 a dimostrare in modo sistematico la provenienza bizantina degli ellenofoni del Salento e indirettamente di quelli della Calabria. A tal fine egli avanzava i seguenti argomenti: 1° la Cronaca di Monemvasia, secondo la quale gli abitanti di Patrasso traslocarono a Reggio Calabria nel VI sec., 2° la testimonianza di G. Kedrinos relativa alla colonizzazione di Gallipoli da parte degli abitanti di Heraclia di Ponto, 3° l’informazione di Costantino Porfirogenito secondo cui tre mila schiavi erano stati inviati in Longobardia, di cui faceva parte la penisola del Salento. Grazie ai nuovi elementi storici che sembravano favorire la tesi di Morosi, il lavoro del Parlangeli venne bene accolto da molti linguisti italiani e da altri scienziati stranieri.

Nel 1958, Stamatis Karatzàs rispose agli argomenti del Parlangeli. Anche se le informazioni si considerassero affidabili, tre mila schiavi non avrebbero potuto imporre la loro lingua all’antica popolazione del Salento: erano tutti greci provenienti dalla stessa regione con una precisa omogeneità linguistica ? o prigionieri di guerra provenienti da luoghi diversi ? In ogni modo, la lingua degli ipotetici migranti dalla regione di Patrasso non aveva nessun rapporto con la lingua degli ellenofoni del Salento. Relativamente alla Cronaca di Monemvasia, se veramente fossero stati tanti gli emigrati e se fossero rimasti a Reggio Calabria per un così lungo periodo, avrebbero dovuto avere un influsso sulla lingua di Reggio. Questo però non si verifica e ci troviamo invece oggi, sulle montagne dell’Aspromonte, settanta chilometri a sudest di Reggio, in presenza di una lingua greca che non ha rapporti con la lingua della regione di Patrasso, e proprio in una zona dove nessun migrante di Patrasso ha mai messo il piede.

Passando all’esame degli elementi linguistici, Karatzàs analizza il valore e il contributo di un elemento decisivo: tutti gli idiomi del Sud Italia hanno conservato le geminate, dell’antica tradizione o geminate posteriori prodotte dalle assimilazioni di consonanti o dall’influsso dell’accento. Si sa che le antiche geminate iniziarono a semplificarsi dai primi anni della Koinè (III sec. a. C.). Durante gli anni in cui sono arrivati, secondo la tesi di Morosi, i coloni bizantini nel Sud (IX ‑ X sec.) la semplificazione delle geminate era già avvenuta in quasi tutto il territorio greco eccetto che nelle regioni periferiche che sono Cipro, Chio, una parte della Cappadocia, il Dodecanneso, Kymi, Eubea, Icaria, qualche isola delle Sporadi del sud e il Sud Italia dove l’influsso della Koinè arrivava indebolito. Nel Peloponneso da dove sarebbero partiti gli ipotetici migranti, le geminate non sussistevano più.

Non esistono testimonianze storiche di spostamenti di popolazioni verso il Sud Italia dalle regioni che hanno conservato le geminate e non sarebbe possibile che da Cipro, Chio o Rodi fossero partiti tanti migranti per colonizzare tutti i paesi delle due zone grecofone che senza eccezione conservano le geminate. La loro esistenza, una caratteristica costante della Koiné Megaloellenica, è attestata anche dalle iscrizioni del Sud Italia.

Nel 1973 Giuseppe Falcone, allievo di Parlangeli, paragona i fenomeni fonetici e morfologici degli idiomi calabresi con quelli di alcune regioni periferiche che conservano le geminate. Le somiglianze rilevate lo conducono a concludere che gli idiomi calabresi costituiscono un miscuglio della Koinè neoellenica e dei dialetti del sud come di Cipro, Chio, Kos ed altri. Nonostante caratterizzi « problema atroce » la conservazione delle geminate, il Falcone afferma che il fenomeno è di origine bizantina e non antica o dorica.

Nel 1978 Maria Teresa Colotti cita, come lo fa Falcone, casi di geminate assomiglianti tra gli idiomi del Salento e le regioni con geminate dei dialetti neogreci ed arriva alla stessa conclusione.

Il Lessico

Αναστασίου Καραναστάση, Ιστορικόν Λεξικόν των Ελληνικών Ιδιωμάτων της Κάτω Ιταλίας, 5 τόμ., Ακαδημία Αθηνών, 1984-1992, Αθήναι [Anastasios Karanastasis, Lessico Storico degli Idiomi Greci del Sud Italia, 5 volumi, Accademia di Atene, 1982 - 1992, Atene] (la traduzione del Volume Primo a cura di Pasquale Casile, ed. Apodiafazzi, Reggio Calabria, 2020 tratta i lemmi a- del greco-calabro)

Chi ha conosciuto Karanastasis ricorda un uomo molto organizzato, metodico, attentissimo al suo lavoro che amava al punto di ritenerlo sua famiglia. Ecco come descrive lui stesso il suo metodo di lavoro: «La lingua greca non si parla più come prima in casa e nei paesi. È logico dunque che nella mente dei grecofoni le parole che non si usano quotidianamente si scolorino, e così le informazioni a loro proposito sono molte volte contraddittorie. Per questa ragione la mia prima preoccupazione era di trovare in ogni paese grecofono gli informatori adeguati che mi potessero aiutare nel difficile lavoro di collezionare un così ricco ma particolare materiale dialettale. Il materiale lessicale che contiene il Lessico proviene principalmente dal parlare quotidiano dei grecofoni e da tutte le diverse forme del discorso: racconti, tradizioni, favole, proverbi, detti, canti, indovinelli, versetti e scioglilingua. Ho visitato tutti i paesi delle due aree grecofone, anche quelli in cui il greco si è quasi zittito, e dai locutori rimasti ho raccolto materiale poco abbondante ma rappresentativo. Ho schedato e incluso nel Lessico tutto il materiale lessicale pubblicato nel tempo nelle due aree grecofone (da Giannino Aprile, Vito Domenico Palumbo, Paolo Stomeo, ed altri), articoli di giornali dove purtroppo gli editori mettono al posto dei prestiti italiani delle parole neogreche mozze provocando così danni irreparabili alla lingua costringendola a seguire un’evoluzione anormale. Non ho omesso di schedare anche le lettere che gli amici grecofoni mi scrissero nel idioma del loro paese. Il materiale lessicale contenuto nelle pubblicazioni di Giuseppe Morosi, Astore Pellegrini, Pasquale Lefons, Domenicano Tondi e Mauro Cassoni lo uso per verificare una forma errata di una parola o una forma che non si incontra oggi».

Lo scopo del Lessico era di conservare su supporto cartaceo la lingua degli ellenofoni del Sud Italia, trascritta e documentata in neogreco, in un lessico detto storico perché presenta l’evoluzione diacronica delle parole attraverso l’etimologia, la fonetica e la semantica.

Il primo volume comporta anche una tabella di trascrizione fonetica, ad uso di un lettore greco. I lemmi sono ordinati secondo l’ordine alfabetico greco. Per la trascrizione dei suoni che non esistono in neogreco, le lettere latine b, d, g, sono accompagnate da segni diacritici.

Il materiale linguistico proviene dalla lingua quotidiana, e per ogni lemma tre paragrafi delimitano la tipologia, l’etimologia e la semantica della parola trattata.

Nel campo tipologico, si trovano la categoria grammaticale, la parola greca antica da cui proviene il lemma, la zona linguistica e le diverse varietà locali. Nel campo etimologico si trovano informazioni morfologiche e rinvii verso riferimenti bibliografici, e nel campo semantico i significati in neogreco, illustrati da diverse frasi tradotte in neogreco. Proponiamo un esempio di come si presenterebbe l’analisi di un lemma se fosse traslata in italiano (con tra parentesi graffe { } la scrittura originale in greco) :

Campo tipologico

amponno {ἀμπών-νω} (ampotho {ἀμπώθω}) (Calim., Mart., Stern., et al.) amponno {ἀμ’πών‑νω} (Castrin., Coril., Stern., Zoll). ambonno {ἀμbών‑νω} (Gall., Bova, Ch. di Rogh.) emponno {ἐμπών‑νω} (Mart., Martin.) mponno {μπών‑νω} (Calim., Mart., Martin.) aoristo àmboa {ἄμbωα} (Gall., Bova, Ch. Di Rogh.) èmpusa {ἔμπουσα} (Martin.) piuccheperfetto immon ambonda {ἦμ-μον ἀμbώνdα} (Gallic.) immon ambòsonda {ἦμ-μον ἀμbώσονdα} (Bova, Ch. Rogh.) imperativo aoristo àmboe – ambòete {ἄμbωε - ἀμbώετε} (Bova, Ch.di Rogh., et al.) àmposo – ampòsete {ἄμπωσο – ἀμπώσετε} (Calim., Mart., Stern.) ampa – ampòsete {ἄμπα - ἀμπώσετε} (Stern.) [...]

Campo etimologico

Dal bizantino ampotho {ἀμπώθω} e questo dall’antico apothò {ἀπωθῶ} con lo sviluppo della nasale m {μ} (Ref. Κορ. Ἄτ. 1, 288, 2, 41 e Hadzidakis MNE 1,278, 286, 291 e 2, 32). La formazione in – ono > - onno {- ώνω > - ών-νω} dall’aoristo àposa > àmposa {ἄπωσα > ἄμπωσα}, seguendo edìlosa – dilono {ἐδήλωσα - δηλώνω}, fanèrosa – fanerono {φανέρωσα - φανερώνω}.

La geminata nn {ν-ν} dall’influsso dell’accento; fenomeno comune agli idiomi con geminate (ref. Rohlfs Gr. Stor., § 159. Si veda anche apponno {ἀππώνω} (Cip.) ’pponno {’π-πών-νω} (Astipalea, Kos, Rodi, Chalk.) [...]

Campo semantico

A) significato vero e proprio: othò, apothò, sprokhno {ὠθῶ, ἀπωθῶ, σπρώχνω = spingere, respingere} id.: amponni to pedì na embi sto spiti {ἀμπών-νει τὸ παιδὶ νὰ ἔμbη στὸ σπίτι = spinge il ragazzo perché entri in casa} (Bova). Ecino ambonni to vudi nna ngremistì {Εκ̍εῖνο ἀμbών-νει τὸ βούδι ν-νὰ νgρεμιστῆ = quello spinge il bue perché cada}. Mi m’amboi, jatì me risti {Μὴ μ’aμbώη, γιατὶ με ρίστει = non mi spingere perché mi farai cadere}. To vudi àmbose to pedì c’èppese khamme {Τὸ βούδι ἄμbωσε τὸ παιδὶ κ̍’ ἔπ-πεσε χάμ-μαι = il bue ha spinto il ragazzo ed è caduto per terra}. [...]

B) Metaforicamente: 1. fare andare avanti (Stern.): Tòriso na m’amposi to polemisi {Τώρησο νὰ μ’ ἀμπώσει τὸ πολεμήσει = guarda a far andare avanti il lavoro (la causa)} 2. respingere, respingere moralmente (Martin.): Kulùtiso ‘o Kristò, mpose ‘o demoni {Κουλούτησο ‘ὁ Κριστό, μπώσε ’ὸ dαιμόνι = Segui Cristo, respingi il diavolo}.

Se paragoniamo l’Ιστορικόν Λεξικόν con il Lexicon Graecanicum di Rohlfs, i lemmi nel Rohlfs sono le parole antiche o bizantine da cui proverebbe la parola esaminata. Se la parola antica non esiste Rohlfs inserisce una parola ipotetica, non attestata. Karanastasis invece usa per lemmi le parole provenienti dal parlare locale e sceglie per l’entrata la forma più vicina alla forma originaria.

Rohlfs fa poco caso delle informazioni grammaticali, e riferisce poche varianti da pochi paesi. Karanastasis è più esaustivo sopratutto per i verbi e fornisce numerosissimi riferimenti. È raro che Rohlfs riporti la parola nel suo contesto, allorché Karanastasis moltiplica le frasi dove si percepiscono le funzioni della parola trattata: succede che Rohlfs tratta un articolo in 18 righi mentre Karanastasis impiega due pagine. Rohlfs indica come la parola si è evoluta negli idiomi italiani locali, Karanastasis non considera questo aspetto.

Naturalmente un tale paragone non è equo perché i due Lessici sono stati realizzati in un modo e in un’ottica completamente diversi, in tempi ancora più diversi. Se Rohlfs è stato un grande pioniere, Karanastasis ha completato la tesaurizzazione della lingua: complessivamente ai 4800 lemmi del Lexicon Graecanicum si sono aggiunte più o meno 1500 nuove parole. Il loro lavoro ha il merito di chiarire come il problema dell’origine si può risolvere dalla lingua stessa.

Il Lessico di Karanastasis costituisce attualmente la struttura scritta la più completa, la meglio organizzata e la più accurata di questi idiomi tramandati solo oralmente. Un tale Lessico dove sono riuniti tanti elementi linguistici costituisce uno strumento unico al servizio non solo degli studiosi ma anche di chi è desideroso di conoscere la cultura che questa lingua porta con sé dal VIII sec. a.C. Si vede la funzione storica del Lessico: riprendere l’etimologia di una parola e grazie alle informazioni grammaticali indicarne anche l’evoluzione permette di tirare delle conclusioni relative all’origine delle parole, che si rivelano utili per determinare l’origine degli idiomi. «Con gli elementi lessicali, morfologici e semantici che conserva, la lingua degli ellenofoni essa stessa risolve da sola il problema della sua origine in modo incontestabile. Questi elementi non provengono né da influenze né da migrazioni di popolazioni poiché non esistevano nella lingua bizantina, e che nemmeno i dialetti neoellenici li possiedono. Questi elementi si sono mantenuti nella tradizione linguistica degli ellenofoni dai tempi della Magna Grecia fino ad oggi» scrive Karanastasis nella prefazione.

La Grammatica

Αναστασίου Καραναστάση, Γραμματική των ελληνικών ιδιωμάτων της Κάτω Ιταλίας, Ακαδημία Αθηνών, 1997, Αθήναι (Anastasios Karanastasis, Grammatica degli Idiomi Greci del Sud Italia, Accademia di Atene, 1997, tradotto in formato web da Iannis Papageorgiadis)

Karanastasis decise di fare la sintesi dei vari aspetti del materiale linguistico raccolto in una Grammatica, che vedeva come l’indispensabile complemento al Lessico. «Con i nuovi elementi lessicologici, fonetici, morfologici e semantici che la nostra ricerca ha aggiunto a quelli già esistenti, abbiamo la possibilità di esaminare con maggiore certezza la questione della loro origine». Non concepisce la sua come una grammatica normativa, ma ben come una grammatica descrittiva, dove da glottologo analizza le caratteristiche di una lingua considerata come un insieme di fatti viventi. Perciò, finita la descrizione scientifica dell’ “òria glossa” (la “bella lingua”), parve logico all’autore inserire una raccolta di testi idiomatici, di poesie, canti, proverbi e detti che la illustrino nella sua vita quotidiana. Nell’intento di rendere questo lavoro accessibile anche ai non conoscenti il neogreco, abbiamo realizzato un adattamento per il web consultabile liberamente su www.grecosuditalia.it.

Nel primo capitolo, dedicato alla Fonetica, si vede in modo dettagliato come una parola del greco antico si è trasformata secondo certe regole fonetiche, in relazione con i meccanismi fisiologici delle pronuncia, per diventare la parola usata dagli ellefoni.

Le vocali, toniche o non accentate, deboli o forti, ecc., seguono in generale la stessa evoluzione che nel Sud della Grecia. Certe vocali hanno conservato, talvolta parzialmente, il loro valore fonetico antico in funzione del contesto (posizione nella parola, influenza della vicinanza di altri suoni, ecc). Attraverso molti esempi sono studiati i fenomeni di metatesi, di sineresi, di elisione, di crasi, ed altri.

L’autore applica lo stesso metodo descrittivo alle consonanti, ma per queste non si limita ad indicare se l’antica pronuncia si è conservata o no. Qua la descrizione ha una portata che le dà la sua ragione d’essere: l’esame p. es. della metatesi κσ > σκ che è già antica, della sussistenza delle geminate che serve a provare la continuità della tradizione magnogreca, l’assimilazione della ‑ς terminale, la conservazione della pronuncia del nesso ντ [nt], tutto questo permette di capire il come e il perché questi fenomeni si sono mantenuti o hanno evoluto. Rileva i fenomeni di permutazione, prostesi, inserzione, metatesi, dissimulazione ecc.

Tutto passa nel vaglio linguistico di Karanastasis, anche la paretimologia (quando la gente non percepisce il senso di una parola, la mette in relazione con un'altra etimologicamente estranea). Si tratta del capitolo più interessante della Grammatica nonostante esso occupi solo 28 pagine su un totale di 189.

Nel capitolo Morfologia si vede, per esempio, come il fenomeno fonetico della caduta delle finali -ν e -ς ha segnato parecchie modificazioni morfologiche che incidono sulle desinenze o sul genere, o come l’incontro della caratteristica tematica con la sigma dell'aoristo provoca varie modifiche fonetiche. Tutte le parti del discorso sono esaminate in modo dettagliato con tabelle di declinazioni e di coniugazione, come anche la composizione lessicale.

Il capitolo Sintassi descrive le componenti della proposizione semplice, l’uso dei casi che si mantengono come in neogreco, i tempi e i modi verbali. Si vede per esempio che il futuro si rende con il presente e che l'infinito sopravvive come nel dialetto del Ponto. Le proposizioni subordinate sono esaminate una per una con molti esempi.

Una soluzione al problema delle origini

L’analisi degli elementi raccolti ha consentito a Karanastasis di evidenziare dei dati e degli indizi sia linguistici che storico-sociali che diventeranno altrettante prove della continuazione della lingua dal VIII sec. a. C. ad oggi. Visto che i documenti storici disponibili non bastano, il linguista procede con ragionamenti logici.

L’unico documento storico a disposizione è quello di Strabone (libro 6, 253) che all’inizio del I sec. d. C. scriveva: “Ora poi è avvenuto che tutti quei siti, fuori solamente Taranto, Reggio e Napoli, imbarbarissero, essendo posseduti parte dai Leucani, parte dai Brezii e parte dai Campani ; benché da costoro sian posseduti soltanto di nome, chè nel vero poi li tengono i Romani, ai quali soggetti anch’essi”. Da questo passaggio i sostenitori della teoria di Morosi concluderanno che l’ellenismo della Magna Grecia è sparito sotto l’egemonia dei Romani. Secondo Rohlfs, si tratta di un’esagerazione: se all’epoca di Strabone le tre grandi città parlavano greco, per maggior ragione le popolazioni greche della campagna, abitanti di luoghi periferici, lontani dai centri amministrativi, non avrebbero perso la loro lingua. E la presenza in questi posti, due e tre secoli dopo Strabone, di iscrizioni cristiane conferma l’esistenza e la continuità della lingua greca.

Per quanto riguarda la colonizzazione delle regioni ellenofone da coloni bizantini, le informazioni sono molto confuse ed estranee alla questione dell’origine della lingua. Con gli elementi storici di cui si dispone il problema non si risolve. Il vuoto che rimane, pensa Karanastasis, permette ai sostenitori della teoria morosiana di interpretare le cose secondo le loro visioni. Quindi, conclude che «la mancanza di elementi storici la lingua sola la può colmare. Gli elementi lessicali verificati relativi all’origine costituiscono i più autentici documenti storici, come l’ha dimostrato Karatzàs con la dettagliata analisi del valore dimostrativo delle geminate (…) Un controllo minuzioso del lessico, dei fenomeni fonetici, morfologici e semantici che conservano tuttora gli idiomi greci del Sud Italia può fornirci degli elementi complementari che confermano l’unità delle due regioni ellenofone. Ci può fornire anche più elementi dorici e prebizantini sia linguistici che semantici che ci aiuteranno ad accertare se i vettori del settore conservativo della lingua provengono da coloni bizantini o prebizantini».

La Grammatica mette in luce i punti morfologici e sintattici comuni alle due aree, che già Karatzàs e Rohlfs avevano segnalati: la conservazione delle geminate, il tipo indeclinabile dei participi presente e aoristo, l’uso del presente per esprimere il futuro (già nei tempi della Koinè), di steo (Puglia) / steko (Calabria) con il participio presente per esprimere l’azione durevole, l’uso di ikha [avevo] (Puglia) / immon [ero] (Calabria) col participio aoristo per esprimer il piuccheperfetto (nota importante per la traduzione: la differenza attivo/passivo dipende dalla forma del participio), la costruzione del periodo ipotetico quando il supposto è contrario alla realtà: an e l’imperfetto per la protasi ed un semplice imperfetto nell’apodosi.

Il Lessico aggiunge otto elementi lessicologici dorici ai quindici raccolti dal Rohlfs. Sono pochissimi i dorismi sussistenti nei dialetti neoellenici. La maggior parte di quelli che si sono conservati si trovano solo nella lingua degli ellenofoni del Sud Italia. Ci si conservano anche elementi lessicologici prebizantini che non si incontrano né nella lingua bizantina né nella Koinè neogreca né negli idiomi neogreci. Importante è anche il contributo di antichi elementi semantici, assenti dalla lingua bizantina e dal neogreco.

Tali elementi lessicali, generalmente prebizantini, si mantengono principalmente nella terminologia della vita contadina. E si sa che «i coloni bizantini del Sud Italia erano militari, impiegati statali, commercianti, religiosi e non agricoltori e pastori. La regione dell’Aspromonte dove si conservano i termini antichi più numerosi è arida e non potrebbe attirare agricoltori; ammettendo anche che fossero stati attirati non potevano trasferire questi termini perché semplicemente non esistevano più nella lingua dei bizantini. Solo la tradizione orale degli ellenofoni li ha conservati fino ad oggi dai tempi della Magna Grecia ».

I sostenitori della tesi dell’origine megaloellenica degli idiomi escludono l’idea che avessero per origine la lingua dei coloni bizantini emigrati. Durante l’occupazione bizantina del Sud Italia si sono insediati dei greci, ma in scala ridotta e si sono integrati linguisticamente in un periodo relativamente breve. Che gli idiomi del Sud Italia si siano rafforzati durante la permanenza bizantina, lo si vede dalla compenetrazione che si è oggi operata negli idiomi che comportano uno sostrato arcaico (geminate, dorismi e antichi elementi lessicali) ed uno più recente con elementi bizantini e neogreci.

Sono dunque degli elementi intrinsecamente linguistici, conservati sia in campo morfologico che semantico, a costituire la prova incontestabile che la soluzione dell’origine della lingua degli ellenofoni si trova nella lingua stessa. Questi elementi estranei a influenze o a migrazioni li ha mantenuti una tradizione linguistica persistente dalla Magna Grecia ad oggi. E non c’è bisogno di rincorrere a documenti storici (che non esistono) per concludere che questa lingua non ha per origine l’arrivo dei coloni bizantini.

In un articolo definitivo del 1992, Origine e sviluppo dei dialetti italogreci, Karanastasis metterà nero su bianco quello che costituisce il cardine di un’opera che ha messo trent’anni a sviluppare. Stabilisce che la lingua degli ellenofoni del Sud Italia si è costruita su quattro sostrati: uno arcaico con certi elementi dorici, uno ellenistico, uno bizantino e uno costituito da prestiti lessicali forniti dai dialetti romanici vicini.